Apatia – L’attesa di un risveglio

Apatìa: 

s. f. [dal lat. apathīa, gr. ἀπάϑεια «insensibilità», comp. di – priv. e πάϑος «passione»].

1. Stato d’indifferenza abituale o prolungata, insensibilità, indolenza nei confronti della realtà esterna e dell’agire pratico.

2. Nella filosofia antica, stato di perfezione contemplativa dello spirito, che attraverso l’esercizio della virtù consegue la libertà interiore intesa come indipendenza, indifferenza e imperturbabilità rispetto alle passioni e alle emozioni umane, ai piaceri sensibili, agli eventi esterni in genere, secondo un ideale di saggezza sostanzialmente unitario propugnato in età ellenistica da cinici, stoici ed epicurei e variamente recepito e discusso dai Padri della Chiesa e dagli apologisti cristiani.

[da Vocabolario Treccani]

“Una citazione Treccani, eh?”

Quando vivi un po’ di esperienze fai il callo alle conseguenze di alcune azioni, inizi a prevedere l’andamento di alcune situazioni, impari a proteggerti dalle persone “pericolose”, a riconoscere quelle che vogliono solo “giocare” e, seppur incosciamente, prendi le distanze dalla realtà. E’ un processo graduale, che ti porta indiscussamente ad avere una vita più tranquilla, senza troppi rischi, equilibrata. Ma quanto effettivamente è di aiuto chiudersi in una fortezza di ghiaccio per evitare di essere feriti?

Da un po’ ho come questo senso di apatia nei confronti del mondo e in un certo senso questa cosa mi spaventa. Perchè, anche se può sembrare una forma di prevenzione utile e una specie di saggezza appresa, capace di farti discriminare ciò che è buono da ciò che non lo è senza far intervenire i sentimenti, di fatto non è altro che uno stato di osservazione in terza persona della tua stessa vita.

Niente di ciò che mi viene mostrato mi emoziona troppo, nessuna persona mi dà più quel senso di calore o stimola in me interesse vero. Sembra tutto scandito da un tempo distorto, quasi illusorio, che avanza in silenzio e ti fa apparire tutto normale, banale, scontato. Niente mi scuote, eppure, di fatto, sono una persona piuttosto passionale. Ma sogno, immagino, ipotizzo, e mi ritrovo a guardarmi intorno come se tutto fosse non sbiadito (perchè i splendidi colori della primavera non possono in alcun modo essere ignorati), ma plastificato. Bello a vedersi, ma finto.

Non sto male, non sono depressa, non sono triste. Solo ho dei momenti di vuoto, in cui mi sento priva di ogni qualsivoglia emozione umana, sia positiva che negativa. Tutto mi scivola addosso, ma niente di esterno mi raggiunge davvero e non ho voglia di muovermi dalla mia condizione di fredda stabilità. I filosofi di una volta potevano anche considerarla una nota positiva, uno stato privilegiato di riflessione, ma anche se può da questo punto di vista essere interpretato come un pregio, devo dire che questo tedio è la cosa più strana e stancante che mi sia mai capitata.

Alcuni miei amici mi guardano e mi chiedono se sto bene, se c’è qualcosa che non va, se sono triste, ma di fatto non ho niente da dire, non ho parole da pronunciare per descrivere questa situazione, non ci sono motivazioni da ricercare o soluzioni da trovare. Tutto ciò che mi interessava fare era scrivere una riflessione su quanto potrebbe essere triste una vita senza quelle grosse spinte che ti fanno ridere, piangere, soffrire, rinascere, correre, lottare, sperare. Sicuramente sarebbe un mondo invivibile.

Io sto ancora aspettando che la mia primavera mi risvegli da questo tedio invernale, ma intanto tiro le mie conclusioni su ciò che mi circonda, su ciò che ruota intorno al mio piccolo mondo.

Awake

E voi? Vi è mai successo di sentirvi totalmente distaccati dal mondo? E’ già finito il vostro inverno e vi siete aperti alla nuova brillante stagione?

– Iya&Ceres –

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4 Risposte a “Apatia – L’attesa di un risveglio”

  1. A me a volte è capitato.. ma dopotutto questa è la nostra piccola vita.. più che osservarla è sempre meglio viverla come sì può.

  2. Sì, ho avuto un’esperienza relativamente lunga di quello stato che con così tanta precisione descrivi nel tuo scritto.
    Scritto che non ho potuto fare a meno di collegare in qualche modo a quello di qualche giorno fa sul, diciamo, “non sapere bene cosa fare”.
    Credo che le due cose siano strettamente correlate.
    Ricordo che il mio personale periodo di apatia terminò proprio quando uscii da quello stato di indecisione rispetto alle mie scelte, sia immediate che un po’ più a lunga scadenza.
    Ciò che personalmente mi è sembrato di capire è che questi periodi, se non si protraggono per “troppo” tempo (il “troppo” naturalmente ha parametri variabili e soggettivi), non sono negativi; sono una specie di “stop!” psico-fisiologico probabilmente necessario per elaborare.
    Ti mando un abbraccio.

    1. Anche io penso che sia in parte collegato alla “questione scelte” o che abbia con questa un denominatore comune. Anche io non riesco a vederla come una cosa totalmente negativa, purchè non si protragga troppo a lungo, perchè non ho intenzione di starmene rinchiusa in una fortezza di cristallo!
      Grazie per il tuo interessamento, ti mando un grande abbraccio anche io! 😀

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